mercoledì 22 marzo 2017

Tra color che son sospesi


E’ cominciato tutto il primo fine settimana di marzo.
Si parlava del nostro anniversario di matrimonio, di lì a poco, e del compleanno di Topo, una decina di giorni dopo.
pensavo a come organizzare una piccola merenda a casa nostra, alla torta da fare, piccole cose.
Poi sono cominciati i dolori. E ho cercato di fare finta di niente, che fosse tutto normale. Volevo tantissimo che fosse tutto normale.
Ma i dolori hanno continuato,e così lunedì mattina ho baciato Topo, l’ho lasciato all’asilo e sono andata in pronto soccorso.
Col Filosofo che mi aveva detto, al telefono: vedrai, diranno che sono tue paranoie.
In realtà no.
In realtà mi hanno presa, visitata, osservata e ricoverata.
Non mi hanno dato una diagnosi precisa, e neanche imprecisa, in realtà.
Mi hanno detto che dovevo stare a letto, e alzarmi solo per la pipì. E che mi avrebbero fatto esami e tamponi per capire, ma che non c’era da fare altro che stare a letto e sperare.
Cosa che ho fatto.
E’ stato particolarmente difficile, il fatto di trovarmi all’improvviso in ospedale, quando avevo promesso a Topo poche ore prima che sarei andata a prenderlo e gli avrei anche preparato una torta.
Niente torta, niente mamma fuori dal nido ad aspettarlo.
Forse è stata la cosa più dura dei giorni in ospedale, la lontananza da Topo.
La mia vicina di letto aveva una quantità di parenti in visita costante, in barba agli orari e all’educazione.
Io passavo le giornate a leggere, a piangere di nascosto nel cuscino dopo che, alle 18.00 circa, Il Filosofo e Topo erano passati a salutarmi.
Topo è stato bravissimo. Arrivava, si arrampicava sul letto vicino a me per farsi coccolare, mangiava un po’ della mia cena e quando era ora di andarsene mi baciava e diceva “ciao ciao mamma” salutandomi con la manina.
Il mio amore. Vederlo andare via mi metteva una malinconia infinita.
Non potevo fare altro che trattenere le lacrime finché non se ne erano andati e poi andavo in bagno a piangere un po’. In camera c’erano troppi occhi estranei.
Sono stati giorni lunghi, alla 17esima settimana e qualche giorno non puoi fare nulla, se qualcosa va storto.
Questo mi ripetevano i medici in visita. Di stare a riposo e sperare che le cose andassero avanti da sole.
Dopo qualche giorno così, in cui in pratica non facevo altro che stare a letto e farmi fare una puntura al giorno...mi hanno dimessa.
Sempre con l’indicazione del riposo assoluto. Non si sa per quanto.
Il solo fatto di essere tornata a casa è stato bellissimo. Anche se vivo tra letto e divano, alla sera, da quando esce dall’asilo, posso stare con mio figlio.
Leggiamo librini, disegnamo, cantiamo, giochiamo per quel poco che posso.
Lui è la mia gioia e la mia vita, è grazie a lui che sto sopportando questi giorni così lunghi.
i dolori vanno e vengono, e le giornate non passano mai.
non riesco a essere felice di questa gravidanza, o meglio non riesco a gioirne, a godermela, per niente.
Sono meschina, ma invidio le donne che girano tranquille e serene coi loro pancioni, che dicono, perché per loro è vero “sono incinta, mica invalida!” e le vedi ridere al supermercato, o al bar, o per strada con le amiche.
Io conto i giorni, le ore, chiedendomi se servirà, se arriveremo al punto giusto, anche solo al punto minimo per potercela fare, o se tutto finirà male.
Conto i giorni e mi giro sul divano, cerco un punto in cui la schiena faccia meno male, in cui la pancia non tiri troppo e provo a non pensare.
Ma ogni dolore, ogni sensazione di “bagnato”, ogni fitta, ogni stramaledetto colpo di tosse mi fanno paura.
Perchè qua sotto le cose sono parecchio fragili e instabili, pare.
Manca ancora un po’ al prossimo controllo, e se da un lato non vedo l’ora, dall’altro ho paura di quello che mi diranno. Ho paura che le cose stiano peggiorando giorno dopo giorno. Di certo non aiuta il fatto di stare sempre sola con me stessa, anche se leggo molto non è facile distrarsi davvero.
Questo stillicidio di giorni mi distrugge. Non sapere, non sapere se quello che “faccio” conta, non sapere come arriveremo ai prossimi mesi, se tra un mese, anche soltanto, sarò ancora qui a letto a sperare e temere o se sarò tornata al lavoro perché non ci sarà più nessuno da aspettare.
Sono stanca, fragile e coi nervi a pezzi. E sono a letto solo da due settimane.